Epic Illustrated: Chiudere il cerchio

Quasi | Manco in edicola |

di Claudio Calia e Paolo Interdonato

Paolo: Ma porca la miseriaccia maiala! Va beh che sei l’editore, esposto a tutti i rischi economici e legali. Va beh che la tua vita è complessa perché devi rispondere a tutti i messaggi degli amici, parenti e discepoli dei fumettisti mediocri che si sono offesi per gli articoli di QUASI. Va beh che devi fare pure lavori redditizi…. Ma caaaaaaazzo… Ho provato a datare col carbonio 14 gli appunti della seconda parte dell’articolo su “Epic” che ti ho mandato. Risalgono al tardo mesozoico!

Claudio: Ma hai perso qualche appunto nel tuo calendario, perché, esattamente al tardo mesozoico più un giorno, ti dicevo «Pubblicala quella seconda parte!». Ti ho confessato che
1. Scrivere mi richiede un mucchio di forze;
2. Mi sono disamorato di ”Epic” riprendendolo in mano proprio per quell’articolo.

P.: Ma hai insistito tu che si partisse da lì! Fosse stato per me saremmo andati sui miei amorini: “Mad”, “Garo”, forse anche “Linus”. Hai tirato fuori quella roba e io ti ho assecondato felice. Rischia, gestisce gli incazzati, spedisce le decine di migliaia di copie di QUASI che tutti ordinano sul sito di Oblò…
Va bene.
Pubblico gli appunti… Ma non andare via che poi ti devo fare delle domande.


Luigi Bernardi

Luigi Bernardi, il nume tutelare di chi ama le riviste di fumetti, diceva che non è difficile fare bene il primo numero di una nuova pubblicazione. La cosa complessa è fare bene un nuovo numero ogni volta che ne deve uscire uno. Fare in modo che l’idea attorno alla quale si è costruita quella prima uscita resista al logorio del tempo e della periodicità.

Il primo numero di “Epic illustrated”, come abbiamo visto più o meno nel Mesozoico, racconta la volontà di Marvel di uscire dal vincolo imposto dall’universo dei supereroi costruito negli anni, accogliere le istanze provenienti dal nascente mercato del fumetto indipendente, e iscrivere un prodotto nuovo nel solco tracciato da “Heavy Metal”, l’edizione statunitense di “Métal Hurlant”. Come promesso dallo strillo posto in copertina sull’immagine di Frank Frazetta, nella primavera del 1980, “Epic” deve garantire “Una nuova esperienza” ai suoi lettori. “Heavy Metal” è il sogno di umanoidi associati che vogliono raccontare una fantascienza fatta di metallo organico, pesante e urlante; “Epic” guarda alle innumerevoli sfumature del fantasy.

Bisogna aspettare che arrivi l’estate perché nei chioschi faccia capolino il secondo numero della rivista. In copertina c’è The Sword, un’illustrazione di Richard Corben. Siamo cresciuti nella provincia italiana, ben lontani dall’offerta fumettistica statunitense, carica di comic book e riviste. Eppure, quell’immagine in copertina ci spalanca una voragine nel cuore. Sul finire del 1983, nelle edicole italiane, quel medesimo disegno è sulla copertina del trentacinquesimo numero della rivista “1984”, portata in edicola dalle edizioni Il Momento, specializzate nella pubblicazione di romanzi porno (“I viola del Momento”, brrrr). Un frammento di quell’immagine ingrandito – che mette al centro il seno prosperoso della donna che si muove con indifferenza mentre il guerriero abbatte a sciabolate i mostri – è sulla copertina della prima ristampa de Lo straordinario mondo di Richard Corben. È quello il volume su cui abbiamo letto per la prima volta Mondo Mutante (se non sai cos’è, corri a leggere Un dove che non c’è: La geografia anatomica di Richard Corben, il libro che Boris Battaglia ha dedicato a quell’autore e a quel fumetto fondamentali).

I fumetti contenuti nel secondo numero della rivista consolidano la struttura portante che caratterizzerà la rivista per tutto il suo corso.

Prosegue Metamorphosis Odyssey, la lunghissima storia di Jim Starlin, iniziata nel primo numero, in cui compare, per la prima volta, Dreadstar. La storia occupa molte pagine dei primi nove numeri di “Epic”. Quel racconto epico è solo l’inizio di una saga che, nel tempo, Starlin ha distribuito presso case editrici differenti, mantenendone sempre la proprietà. Dopo Metamorphosis Odyssey, durante gli anni Ottanta, l’autore ha pubblicato i volume The Price per Eclipse e Dreadstar per Marvel, poi una serie di comic book, prima per Epic Comics, il marchio Marvel – nato proprio dalla rivista che stiamo sfogliando – per pubblicare fumetti “creator owned”, e poi per First Comics, per un totale di 64 numeri. Infine, all’inizio degli anni Novanta, una miniserie di 6 numeri, intitolata sempre a Dreadstar, per Malibu comics. Da quel momento Starlin ha, a più riprese, dichiarato che avrebbe ripreso il personaggio, fino a quando, nell’aprile del 2020, ha annunciato un progetto crowdfunding, dal titolo Dreadstar Returns, che prevede la realizzazione di un tassello della saga di oltre 100 pagine.

Sempre sul secondo numero di “Epic”, inizia l’adattamento di Almuric di Robert E. Howard, con sceneggiatura di Roy Thomas e disegni di Tim Conrad. Sarebbe un fumetto irrilevante e immeritevole di menzione, non fosse che segna la volontà di Marvel di sfruttare le opere dell’autore di Conan, il personaggio più adulto tra quelli presenti negli albi della casa editrice dei supereroi con superproblemi.

Su quelle pagine inizia ad avvicendarsi un gruppo di autori nati nella prima metà degli anni Cinquanta che merita tutta la nostra attenzione.
Il primo è Philip Craig Russell, un autore non ancora trentenne che i lettori Marvel hanno conosciuto sulle pagine di Killraven sceneggiato da Don McGregor. Su “Epic” compare Sigfried And The Dragon, il suo primo adattamento da Richard Wagner (anni dopo, sempre ispirandosi all’opera del compositore tedesco, ci donerà L’anello dei Nibelughi). Il disegnatore mostra un segno, che pur essendo personalissimo, si muove all’incrocio tra art nouveau ed EC Comics. Nei numeri successivi della rivista lo vedremo alle prese con l’adattamento a fumetti del ciclo di Elric of Melniboné di Michael Moorcock, su sceneggiature di Roy Thomas.
Compare poi Monkey See di Rick Veitch e Steve Bissette. I due erano stati tra i primissimi studenti della scuola di fumetto di Joe Kubert e, freschi di diploma, nel 1979, avevano pubblicato l’adattamento a fumetti di 1941: Allarme a Hollywood, il film comico di Steven Spielberg con uno strepitoso John Belushi nei panni del pilota Wild Bill Kelso che deve salvare Hollywood da un presunto attacco nipponico nei giorni successivi a Pearl Harbour. I due fumettisti sono nati all’inizio degli anni Cinquanta e hanno visto, bambini e adolescenti, il periodo di massima popolarità delle “scimmie di mare”, il nome con cui veniva commercializzato, anche sulle pagine dei comic book e dei fumetti italiani, il piccolo crostaceo artemia salina. È stata probabilmente la frustrazione dovuta all’impossibilità di interagire con queste bestiole che dal triassico si sono evolute pochissimo, ma che, sulle pubblicità presenti sugli albi a fumetti, erano rappresentate come ilari scimmiette acquatiche con cui giocare, a scatenare l’idea al centro di questa collaborazione su “Epic”. Da quel momento, fumetti brevi di entrambi gli autori saranno spesso presenti sulla rivista. Proprio su quelle pagine, Veitch serializzerà la pubblicazione di Abraxas And The Earthman.

Infine Howard Chaykin che disegna Seven Moons’ Light Casts Complex Shadows, un fumetto scritto dal grande scrittore di fantascienza Samuel R. Delany. Ci si aspetterebbe che dall’incontro tra due giganti avesse origine una grande opera. Purtroppo non è così. La cosa sarebbe incomprensibile, se non si pensasse al fatto che i due avevano lavorato per anni a Empire, un lungo fumetto, fortemente voluto dallo scrittore, editor ed editore Byron Preiss. Il libro, uscito nel 1978, è oggi ricordato come uno dei primi esempi di graphic novel nel mercato statunitense.
Nella prefazione, Preiss scrive: «Per sviluppare un romanzo visuale, volevamo un sistema di design, un modello entro cui raccontare tutta la storia. Ho sviluppato un modello di assi orizzontale e verticale che può essere variato, in modo consistente, ogni due pagine del libro».
Ci si è chiesto per anni in cosa consistesse l’arcano modello si Byron Preiss, fino a quando Delany non lo ha spiegato con chiarezza in una intervista: «Quando ho fatto Empire con Howard Chaykin, Byron Preiss era il confezionatore, e quello è stato un progetto dal destino veramente disgraziato. Dopo che lo avevamo concluso, ero molto contento del risultato. Invece Byron ne era insoddisfatto: lo ha preso, lo ha riscritto completamente e ha sforbiciato e incollato i disegni, al punto da far scomparire quello che avevamo fatto. Il nostro fumetto, nella sua forma originale, semplicemente non esiste più. Nessuno potrà mai sapere com’era.»
Un altro fumetto impossibile, che non potremo mai leggere per colpa di un’industria editoriale idiota, da custodire nell’affollato faro di Hicksville.

Nei numeri successivi la struttura della rivista si consolida. Vediamo apparire storie brevi di Doug Moench e Paul Gulacy, Paul Kirchner, Bruce Jones, Ken Steacy che si dedica all’adattamento di racconti di Harlan Ellison, Charles Vess, Pepe Moreno, Neal Adams, John Bolton, Dean Motter, Trina Robbins, il recupero di un episodio di Spacehawk di Basil Wolverton colorato per l’occasione da Veitch, Ralph Reese, Jan Strnad e Corben…

Diventa evidente che “Epic” sia la rivista che ha raccolto l’eredità di “Star*reach”, rivista di fumetti di fantascienza, uscita per 18 numeri tra il 1974 e il 1979, che sembrava voler sanare la distanza tra la scena controculturale, espressa dagli underground comix, e il fumetto mainstream. Sono molti gli autori pubblicati da quella testata seminale a confluire sulle pagine della rivista edita da Marvel.
Con questa consapevolezza, interrompiamo la carrellata febbricitante di nomi per concentrarci sulla forma della rivista nel momento del suo massimo splendore.

Nel corso del mese di novembre 1982, Marvel pubblica molti albi che, per le stranezze del sistema distributivo statunitense, riportano in copertina la data febbraio 1983.
A mantenere in salute la casa editrice, ci pensano le serie tratte dai giocattoli e dai grandi successi cinematografici. Negli espositori presenti nei chioschi, nelle drogherie e nei supermercati (e, da qualche tempo, anche nei negozi specializzati, serviti dalla distribuzione direct market che si sta sviluppando e che permette la presenza di comic book indipendenti e privi del marchio del “comics code”), gli affezionati lettori trovano “Star Wars” n.68 di David Michelinie e Gene Day, “Further adventures of Indiana Jones” n.2 disegnato da john Byrne e Terry Austin, e i grandi successi commerciali della casa delle idee, “Micronauts” n.50 di Bill Mantlo e Butch Guice, “Rom” n.39 di Bill Mantlo e Sal Buscema e “G.I. Joe: A Real American Hero” n.8 di Herb Trimpe.
Poi c’è la consueta distesa di albi di supereroi: “Daredevil” n.191 di Frank Miller; “Fantastic Four” n.251 di Byrne; “Uncanny X-Men” n.166 scritto da Chris Claremont; “Spider-woman” n.48 scritto da Ann Nocenti; “Moon Knight” n.28 disegnato da Bill Sienkiewicz; “Master of Kung-fu” n.121 disegnato dal ventiduenne David Mazzucchelli; Roger Stern che scrive “Amazing Spider-man” n.237, “Doctor Strange” n.57, “Avengers” n.228; “Warlock” n.3 di Starlin; “Captain America” n.278 di J.M. DeMatteis e Mike Zeck
In mezzo a tutta questa manna c’è perfino spazio per una delle copertine più brutte dell’intera storia – non sempre gloriosa – del comic book: “Dazzler” n.24.

Nello stesso mese, dagli stessi espositori, fa capolino anche la copertina del sedicesimo numero di “Epic Illustrated”. Presenta un meraviglioso disegno, con un Icaro schiantato al suolo, di Barry Winsor-Smith e preannuncia un numero assai bello ed estremamente rappresentativo dell’intero corso della rivista.
Scorrendolo rapidamente si incontrano: il settimo capitolo di Abraxas And The Earthman di Veitch; Arise, Awake di Mark Hempel, una storia completamente in soggettiva; The Beguiling e A Path of Stars, due fumetti intrisi di sottile erotismo di Winsor-Smith, disegnatore che illustra anche il racconto The Horde di Archie Goodwin; Arnold the Isshurian, una parodia del Conan cinematografico, realizzata da Dave Sim, l’autore di “Cerebus”, e scandita da omaggi a Little Nemo; The Woman Who Loved The Moon di Elizabeth A. Lynn e Trina Robbins; un tributo al disegnatore appena scomparso, trentunenne, Gene Day; la seconda parte di The last Of The Dragons di Carl Potts e Dennis O’Neil; una breve storia di fantascienza di Rick Geary; Two sisters, un storia del ciclo A Jack Tale di Vess.
Non c’è nessun elemento dissonante, nulla che stupisca, nulla che stoni. Un numero esemplare di una rivista che ha definito perfettamente la propria linea e che ora riesce a infilare nell’indice cose distantissime, mantenendo una grande coerenza.

Da quel momento la corsa di “Epic Illustrated” continua con un’infilata di cose belle e importanti, ma senza scosse: storie degli autori che abbiamo visto finora, il recupero di fumetti di Vaughn Bodé, proseguite con troppa convinzione dal figlio Mark; Marada the She-Wolf di Claremont e Bolton; quattro storie brevissime di Sim che si innestano nel periodo di “Cerebus” raccontato nel primo volume di Church & State (se non lo hai fatto, devi leggere il racconto di Omar Martini); un episodio di Groo di Sergio Aragonés; una storia di Victor De La Fuente, al servizio di una sceneggiatura di Archie Goodwin che gli permette di spaziare tra il western e gli scenari medievali…

Fino al numero 34, datato febbraio 1986.
Il 1986 è l’anno di trasformazione del mercato del fumetto statunitense grazie alla pubblicazione di due libri straordinari, sia per la qualità sia per l’impatto sul pubblico: Maus di Art Spiegelman e Batman: the Dark Knight Returns di Frank Miller. Nello settembre dello stesso anno, viene pubblicato il primo dei dodici albi mensili di Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons. L’apparizione di questi volumi, molto venduti nelle librerie di varia, segna per l’editoria statunitense la necessità di demarcare uno spazio delle merci in precedenza assente. È interessante osservare come il momento in cui la locuzione “graphic novel” diventa fondamentale per demarcare uno spazio commerciale per il fumetto sia anche quello in cui scompaiono le riviste destinate a un pubblico adulto e consapevole.
Il trentaquattresimo numero di “Epic” riporta sulla copertina, disegnata da Arthur Suydam, lo strillo «Incredibile ultimo numero». All’interno si percepisce lo sforzo di portare a compimento la rivista, affastellando cose diverse, fino a riempire il numero di pagine dovuto al lettore per il prezzo di copertina. Prezzo che, nei sei anni trascorsi dal primo numero, è aumentato di soli 50 centesimi, attestandosi a $2,50.
Nelle cento pagine dell’ultimo numero ci sono cose diversissime.
Il fascicolo si apre con The Beast di Paolo Eleuteri Serpieri. Pubblicato per la prima volta, in gennaio 1984, sul ventiduesimo numero della rivista italiana “L’Eternauta”, La bestia è il fumetto che segna il passaggio dell’autore dal western frequentato fino a quel momento agli scenari postapocalittici di Druuna.
Love Doesn’t Last Forever, scritto da Moore e disegnato da Veitch, pochi mesi prima che “Watchmen” diventasse il fenomeno editoriale che conosciamo e lo sceneggiatore inglese si trasformasse in un autore di culto.
Poi ci sono i tre fumetti che hanno vinto il concorso dell’Atlanta Fantasy Fair, un portfolio dedicato a Windsor-Smith, un fumetto di draghi, tra Flash Gordon e Star wWars, di Goodwin e Al Williamson, storie sparse di Ken Macklin, Jo Duffy e T. Sagara, Bernie Wrightson, Suydam e Starlin.
A chiudere il cerchio in maniera quasi perfetta, ci sono due fumetti che riconducono la strana traiettoria di “Epic Illustrated”, rivista pubblicata da Marvel Comics e dedicata ai progetti “creator owned”, alla tradizione (e forse anche al sistema di vincoli) della casa delle idee.
Il primo è Death of A Legend, il racconto delle ultime ore di vita di Robert E. Howard, scritto da Roy Thomas e disegnato da Sandy Plunketts. Raccontare il suicidio dell’autore di Conan riconduce “Epic” nell’alveo dei possedimenti Marvel. I diritti d’adattamento a fumetti delle opere di uno degli scrittori più importanti dell’heroic fantasy si stavano rivelando una importante fote di fatturato, in particolar modo dopo il successo di Conan the barbarian, il film del 1982 diretto da John Milius e interpretato da Arnold Schwarzenegger.
Il secondo fumetto che sembra essere inserito nell’indice del numero per ricondurre “Epic” a casa è il capitolo finale di The Last Galactus Story di John Byrne. Come abbiamo visto, “Epic” ha iniziato la propria traiettoria con una breve storia di Galactus e Silver Surfer scritta da Stan Lee e disegnata da John Buscema. Quello era il modo in cui Lee imprimeva la propria impronta sulla nuova pubblicazione, dichiarando la propria presenza (e la propria importanza). Benché il suo ruolo nella creazione dei personaggi dell’universo della casa delle idee sia sempre stato quantomeno discusso, Stan Lee ha firmato le storie di “Fantastic Four” e “Silver Surfer” che hanno definito la cosmogonia Marvel. Negli anni di “Epic” la testata dedicata ai Fantastici Quattro è nelle mani capaci di John Byrne che si sta dedicando a un lavoro di recupero dello spirito originario della serie, omaggiando continuamente il lavoro di Lee e Jack Kirby. Inserire l’ultima storia di Galactus nell’ultimo numero di una pubblicazione che ha iniziat il proprio corso con la ricerca di risposte di Silver Surfer significa cercare di chiudere uno di quegli strani anelli che a noi di (QUASI) piacciono tantissimo.

Afferri una striscia di carta per i due bordi più corti, esegui con una delle due estremità una torsione di 180°, unisci i bordi e ottieni un anello di Mœbius.

Ecco. Il cerchio si chiude.


Paolo: Allora, Claudio… Prima domanda. Cosa ne pensi di Dreadstar di Starlin? Dovremmo leggerlo  cercando di capire questa saga cosmica o è l’ennesima roba complicata e inconcludente, zeppa di riferimenti religiosi liofilizzati di Starlin?

Claudio: Ne penso molto bene, ma a me le robe complicate, inconcludenti, zeppe di riferimenti religiosi liofilizzati di Starlin piacciono!

P: Compreso Thanos?

C: Thanos tutta la vita.
Mi sembra tutto sommato che a Starlin sia andata maluccio, purtroppo. O no, dipende. Rimane il proprietario di Dreadstar, mentre osserva quale banalità l’ultimo degli sceneggiatori di Hollywood metterà in bocca al suo Thanos.

P: E c’è un fumetto lunghissimo di Neal Addams che, appena l’ho visto, mi si è staccata l’epidermide dalle terga. Bello, eh… Ma fa cadere gli occhi e tutte le altre cose vagamente sferiche che uno si trova in giro per il corpo. Se ci siamo lanciati in questa storia di “Epic” è perché tu hai iniziato a dire che quel fumetto è… non mi ricordo… che aggettivo hai usato?

C: Mi sembra di ricordare di averlo definito “delirante”. Ecco quel fumetto… a volte non serve sapere così tanto degli autori che ci piacciono. Sapere che Neal Adams la prima volta che ha avuto l’occasione di destreggiarsi libero in una narrazione ha voluto, coscientemente, perdere tempo in una roba pesantissima a metà tra il frichettone e il complottista… Ecco, mi rovina Green Lantern & Green Arrow. Con tutti quei colori, pensando a come si colorava all’epoca… quel fumetto mi sembra uno spreco di energie da ogni punto di vista lo guardi.

P: Ma forse perché ci cercavi Green Lantern e lui invece voleva provare a fare una cosa che potesse stare accanto a “Heavy Metal”. Non è che l’apertura (e la chiusura) con Silver Surfer ti hanno tratto in inganno?

C: A parte che non gliel’ha ordinato il dottore, a “Epic”, di aprire e chiudere con Silver Surfer. No, io cercavo tutta questa presupposta libertà autoriale concessa per la prima volta. Per scoprire che, a volte, è meglio che un buon disegnatore rimanga un buon disegnatore. Molte storie su “Epic” non riescono a sembrarmi che occasioni sprecate. Non l’ho mica ripreso in mano, ora, rispondendoti in questo dialogo, ma se devo pensare a qualcosa che mi rimane nella memoria di quella rivista ci sono Veitch, Starlin, Sim e, un pizzico sì, Silver Surfer.
Ma quando ne parlavamo la prima volta era la stessa cosa. Per me, “Epic” era quello: Veitch, Starlin, Sim e un po’ di Silver Surfer. Tornare a leggerla per l’articolo mi ha solo in qualche modo illuminato sul fatto che… ricordavo già quello che mi serviva. Il resto non ha aggiunto niente.
Tranne cambiare per sempre la mia considerazione di Neal Adams, certo.

P: A me pare che la rivista “Epic” abbia fatto quello che doveva. Una carrellata di copertine (a volte bellissime, come quelle di Corben o di Windsor-Smith), i fumetti di Veitch che ancora amo tantissimo, una bussola per il lettore Marvel che si ritrova a dover affrontare un mercato che sta cambiando.
Mi pare sia questo il motivo per cui la rivista si apre e si chiude con un personaggio iconico e istituzionale ma strano, come Silver Surfer
Cioè il personaggio che Marvel usa tutte le volte che si deve dare un tono. Anni dopo (ma non tantissimi, nel 1988) il personaggio argentato sarà al centro di un’avventura con paginazione da album BD, scritta da Stan Lee con il solito piglio da “quello vola e si lamenta e il gigantone si vuole mangiare il pianeta” e disegnata da Moebius con il rullo (ma era un gigante tale che il suo rullo valeva più di pennini e pennelli di tutti gli altri.
Guarda caso quella storia usciva proprio per Epic.
Così come la versione colorata di Akira di Otomo.

C: Calma. Finora io mi sono attenuto alla rivista, eh! Che mi tiri fuori Akira colorato da Oliff.

P: Buono lì! Ti sto interrogando.
Ti chiedo, da lettore Marvel, come si innesta questa roba nell’idea di Marvel di Jim Shoter. Una casa editrice di soli editor come poteva tollerare un progetto di potenziale libertà assoluta?

Jim Shooter

C: Il periodo Shooter è un periodo di grandi spinte. Economiche e creative. Spesso contraddittorie. Un super editor disposto a supervisionare tutto e a scontri violenti con gli autori se riteneva che la reputazione di una property Marvel fosse messa a rischio. E, allo stesso tempo, quello che a questi nuovi autori ha aperto una strada, mettendoli per alcuni anni in condizione di creare… il loro meglio. Penso a Simonson, Byrne, Miller, ma anche gente meno quotata come Stern, Michelinie, John Romita Jr… un’epoca irripetibile contrassegnata dai contrasti con la dirigenza e la qualità delle proposte.
La rivista “Epic” stessa, e con lei l’etichetta, risponde a queste spinte ma… cosa me ne faccio di tre pagine fantasy di Carl Potts “libero” mentre Steve Gerber mi sta facendo Howard the Duck con Gene Colan?
Dici la «casa editrice di soli editor» e ci sento un po’ di disapprovazione. Poi penso alla “casa editrice di editor/sceneggiatori”, che è quel che la Marvel era prima e che Shooter si è trovato a dover in qualche modo limitare. Non mi ricordo se era Gerber o Englehart che pubblicava spesso le lettere dei lettori che si esprimevano contro Jack Kirby sulle pagine della posta dei suoi mensili, dopo che il Re era tornato in Marvel dopo l’esperienza DC, perché voleva affiancarlo alle sceneggiature? Ecco, la “casa editrice degli artisti” ha creato questa cosa qua, dei bravi sceneggiatori che si scagliano contro il fumettista più bravo di tutti per condividerne un po’ di popolarità. Una bella epoca che ci ha dato un sacco e che rimane dannatamente contraddittoria, ecco cos’era.

P: Claudio, non c’era disapprovazione… Sono io… Paolo. Il tipo che pensa che «gli sceneggiatori non è gente».

C: Va bene. Allora ricominciamo da dove vuoi tu.
Per tornare a “Epic”. Certo che è stata una rivista importante. Ma lo è stata più per il come che per il cosa. Probabilmente non ancora abituati a questo tipo di “come”, la prima generazione di autori che ci ha avuto a che fare si è trovata impreparata. Di fronte a tutta questa libertà, hanno fatto prevalentemente storielline che magari gli eran pure state rifiutate da “Heavy Metal”. Veitch, Starlin e, per quel poco, Sim, sono tra i pochi che hanno usato questa possibilità per scopi “autoriali”; la maggior parte degli altri ha giusto sperimentato un formato diverso senza creare nulla di indimenticabile.

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