Sabba di Alessio Ravazzani

Francesco Pelosi | Affatto |

Questa cosa di riferirsi al lettore dandogli del tu, come fossimo al bar, faccia a faccia, o come fossimo in una chat privata, l’ho sempre vista come uno dei segni distintivi di QUASI.
Non so se l’ho letta prima in un pezzo di Paolo Interdonato o di Boris Battaglia, i due fondatori del progetto, ma ogni volta che l’ho usata, oltre a darmi piacere nello scrivere, mi ha fatto sentire ancora più parte di questa rivista che non legge nessuno. Perciò anche oggi, tornato da poco dall’Arf, la fiera del fumetto di Roma, voglio usarla per parlarti di un libro appena uscito e che ho preso lì, nella speranza quasi certamente illusoria che dopo avermi letto andrai subito a cercarlo online.
Perché dico di cercarlo in rete e non in libreria? Perché si tratta di un fumetto autoprodotto, senza un codice ISBN e senza distribuzione. Per cui, o aspetti fino alla prossima fiera in cui è prevista una Self Area, oppure vai sul sito di Mammaiuto a comprarlo (o a leggerlo gratis, visto che lo hanno pubblicato anche lì).

Sto parlando di Sabba di Alessio Ravazzani, opera leggendaria per il collettivo di cui l’autore fa parte. La postfazione di Giorgio Trinchero ci dice che il libro è in gestazione almeno dal 2009 e che una volta pubblicato Mammaiuto dovrà chiudere, tale è il potere apocalittico di questo libro, di cui effettivamente nel sottobosco delle autoproduzioni si mormora da anni.
Ora che finalmente esiste e lo puoi leggere, ti devo avvertire che, poteri magici o meno, questo fumetto è davvero un oggetto curioso. Non so cosa ti aspetti da una storia con un titolo del genere e con in copertina uomini e donne nudi che danzano in cerchio attorno a un falò, ma sono quasi certo che non è quel che ci troverai dentro.
Sabba è una storia storta, sghemba, strana, non tanto nell’intreccio che è solido e si risolve perfettamente, quando nell’approccio scelto da Ravazzani per raccontarla. A dirla tutta, sembra quasi che il tema della storia non ne sia il centro, ma che lo sia piuttosto il segno, quel bianco e nero così netto e gommoso, e la meccanica che lega fra loro le vignette. È una storia che affascina, proprio perché diversa dalle altre cose che puoi aver letto in questi anni, a partire dallo stile che richiama certo fumetto grottesco italiano degli anni Settanta, Bonvi, Silver e il Magnus di Alan Ford su tutti, ma anche Beetle Bailey e Hi and Lois di Mort Walker.
E poi ci sono le ombre, quasi totalmente assenti che ammantano le pagine di una luce accecante, riempiendo di inquietudine la campagna e gli scorci di città rappresentati. Mentre i dialoghi, che a un occhio abituato a letture più recenti potrebbero sembrare didascalici, comunicano l’essenziale in un modo inedito e un po’ naïf in cui risiede la potenza emotiva dell’opera.
Ma attenzione, Sabba non vuole coinvolgere emotivamente, non punta a quell’ipnosi del lettore tale per cui la narrazione deve essere “realistica” e “verosimile” e che accomuna sempre più i fumetti alle serie TV. Il realismo di Sabba si concretizza non attraverso sfumature di dialoghi e situazioni che tendono alla ricostruzione sulla pagina dell’esperienza umana, ma attraverso la descrizione distaccata degli atteggiamenti dei personaggi. Non c’è l’immedesimazione: ci sono la metafora e il simbolo. E il tipo di segno cartoon utilizzato da Ravazzani lo sottolinea perfettamente.
Da questo punto di vista, Sabba è uno splendido attentato a chi ricerca il realismo nei fumetti, dove nulla può esserlo, perché tutto è invece sintesi, stilizzazione, simbolo. 

Lo so, non ti ho ancora detto di cosa parla Sabba e in effetti preferirei non farlo, perché quasi certamente mi sbaglierei o ne limiterei le possibili suggestioni.
Ti basti sapere che c’è un bambino a cui la nonna racconta storie sul demonio e c’è suo padre che ha problemi di alcolismo e sua madre che subisce in silenzio la violenza domestica che le infligge il marito. Oltre a questo c’è tutta una serie di sottotesti e rimandi grafici e di significato che amplificano le possibili interpretazioni, creando una corolla suggestiva dentro la quale pulsa davvero il cuore dell’opera (micini carini compresi).
Cosa c’entrano le storie del diavolo e dei sabba ambientate in un medioevo immaginario con la storia contemporanea di abusi e alcolismo? Cosa c’entra questa nonna che vive in una campagna che sembra lontana chilometri dalla città in cui abita il nipote e nella quale però il bambino va sempre da solo, come se vi si teletrasportasse?
Perché la nonna, che non fa che promuovere atteggiamenti positivi, racconta al nipote storie tanto scabrose, fumando sigarette una dietro l’altra mentre prepara intrugli di erbe come una vecchia strega?
Non lo so, e sarei davvero felice di sapere che nemmeno Ravazzani lo sappia.
Perché Sabba parla proprio di perdita di controllo, di una falsa quiete in superficie che nel profondo invece esplode, trema, collassa. Esattamente come le pagine pulite e precise di questa storia e i dialoghi affettati che contengono però sottotraccia qualcosa di incontrollabile, qualcosa di sconosciuto persino al loro autore.
Sabba è, come dicevo, una storia sghemba, di una stortura demoniaca quanto gli argomenti che tratta, in cui tutto sembra appiccicato con lo sputo ma che invece si tiene perfettamente. Come architettato dal demonio stesso.

La mia idea – e ti avviso che sto per dire qualcosa sul finale della storia, per cui se non vuoi spoiler salta al prossimo paragrafo – è che il “Sabba” del titolo e della copertina siano una metafora delle orge di malattia e violenza che sono certe vite familiari, come quella rappresentata nel fumetto. E sono anche quasi certo che la nonna sia in realtà il demonio stesso, ma probabilmente ci sto vedendo più di quel che c’è, a dimostrazione di come Sabba sia davvero un bel libro, capace di amplificare la sua vita al di là di quel che vi è rappresentato.

Alessio Ravazzani è un nome che forse non hai sentito spesso, ma se leggi fumetti lo hai incontrato molte più volte di quante immagini. È infatti uno dei letteristi più attivi e validi che abbiamo, e il suo nome è in decine e decine di colophon di albi pubblicati in Italia negli ultimi anni. In più è anche uno dei fondatori della Revue Dessinée Italia.
Ravazzani è però anche un fumettista, un fumettista molto bravo a mio parere. La speranza è quindi quella di non aspettare altri quindici anni prima di leggere un’altra sua opera.

Un grazie speciale a Erica Benvenuti e Paolo M. Toti, insieme ai quali, durante una fitta e accorata conversazione in chat, queste idee su Sabba hanno preso forma concreta.

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