Piccoli snobismi tra amici

Paolo Interdonato | Disegnetti per perditempo |

UNO

Dave McKean è un disegnatore gigantesco che non ha mai capito il fumetto.
Non è vero. Mi sono lasciato accecare dal lucore della sentenza perentoria. McKean, i fumetti, li sa fare, eccome. Quando guardi una sua pagina, non puoi che perderti nel suo racconto. Ha un grave problema con le parole. Ha vissuto, per troppo tempo, a stretto contatto con Neil Gaiman.
Quello sì, è uno che, il fumetto, non lo ha mai capito.
Gli piacciono le parole e si innamora delle strutture sghembe e strampalate che possono formare. Del potere che possono avere sulle altre persone. A volte, pare, perfino troppo.
Lo conosciamo per le sue storie di divinità troppo umane, in preda a forze elementari della vita che danno loro addirittura il nome: Destino, Morte, Sogno, Distruzione, Desiderio, Disperazione e Delirio (che prima, però, si chiamava Delizia).
Quella idea è potente. Gaiman l’ha presa dal “Ciclo della Terra Piatta” di Tanith Lee, senza chiedere il permesso o ringraziare. Pare che, per lui, chiedere il permesso alle donne non sia mai stato così importante. In ogni caso, Gaiman è un maestro della scrittura che non capisce il fumetto e Dave McKean un disegnatore e fumettista incredibile con un terrificante senso di inferiorità nei confronti delle parole.
Qualche anno fa, McKean, che non ha mai avuto paura di giocare con la tecnologia, ha fatto un esperimento con le IA: ha realizzato in una dozzina di giorni un fumetto usando Midjourney e, per sottolineare l’importanza delle parole, lo ha chiamato Prompt: Conversations With Artificial Intelligence. Ne ha fatte quattrocentocinquanta copie, presto esaurite, e ha detto che non lo ristampava mai più e con quella robaccia, con l’IA, non ci avrebbe più avuto a che fare. Anche se quel libro è stato ristampato (e lo puoi trovare facilmente), io sono abbastanza contento che McKean abbia deciso di non lavorare più con le IA. A volte perde il controllo degli strumenti e gli vengono fuori delle robe molto cafone. Con Midjourney, aveva fatto una roba brutta e grossolana.
Comunque, è appena uscito, per Comicon Edizioni, il suo fumetto più recente. Si chiama Raptor: Una storia di Sokol. È la storia di Arthur Machen, dopo la morte della prima giovanissima moglie. Se non sai chi è Machen, vuol dire che davvero questa rivista non la legge nessunə, nemmeno tu: Omar ne ha parlato millemila volta, raccontando Long London di Alan Moore, per esempio QUI.
Raptor è un fumetto bellissimo: basta che non leggi le parole. Goditelo, immaginatelo, inventa quello che si dicono i personaggi nella stanza, definisci i ruoli, da’ un nome agli attori, goditi le funzioni. Soprattutto perditi in quelle pagine bellissime e rumorose, lascia che la pagina ti avvolga, va’ a viverci dentro. Ma, davvero, fidati: non leggere le parole! Il livello di ridondanza introdotto dal codice verbale è intollerabile. Pare di essere finito per sbaglio su un albo Bonelli.

DUE

A proposito di Bonelli… Quando è uscito il primo numero di “Dylan Dog”, nell’ottobre del 1986, io ero appena diventato maggiorenne. Non che fossi più responsabile, eh… si è trattata di una mera coincidenza anagrafica. Mi sono ritrovato quell’albo tra le mani, con pochissima convinzione. Ai tempi, pur comprando molti fumetti, ero già abbastanza snob. L’edicola offriva ancora un sacco di riviste e, dentro, potevi trovarci cose molto belle. Gli albi Bonelli erano uno spazio della tradizione che consideravo un po’ bolso: “Tex” era una robaccia da vecchi di merda già allora, “Zagor” e “Mister No” avevano rappresentato la novità troppo tempo prima, “Martin Mystére” era una bella idea da leggere tra uno sbadiglio e l’altro. Quello di “Dylan Dog” era un numero uno con un personaggio nuovo in copertina. Il titolo dell’albo era intrigante, “L’alba dei morti viventi”, e quel disegno di Claudi Villa non era niente male. Ho iniziato a leggerlo ed è stato stupefacente: il segno finissimo di Angelo Stano, la mezzatinta inattesa che si impastava su quella carta porosa, una ragazza nuda che saltava nella vasca, l’orrore quello vero, la comicità di un tipo che sparava battute sciocche a raffica senza precipitare nello slapstick comedy di Chico in Zagor, il sesso esplicito e visibile, e quel personaggio, un fottuto narcisista, pieno di mossette e nevrosi, viveva nel mio stesso immaginario… Da un lato, tutta quella roba era davvero inaspettata; dall’altro, quel fumetto era divertente. Mi ci sono affezionato subito e, come chiunque, l’ho letto con dedizione per una dozzina di anni.
Fine del racconto da anziano. Torno a oggi.
In questi giorni è uscita una nuova testata dedicata al personaggio: s’intitola “Dylan Dog Oldboy” e uno strillo in copertina annuncia «Ricomincia da 1!»
Se non ho capito male, sono le storie volute da Franco Busatta che fa finta che non sia mai successa la clamorosa rivoluzione del personaggio progettata con oculatezza suicida da Roberto Recchioni. Busatta muove questo rigurgito di resistenza reazionaria al nuovo che avanza da qualche anno. Fino a qualche mese fa lo faceva con volumi più cicciotti, che si chiamavano “Dylan Dog Oldboy” pure loro, in cui venivano pubblicate un paio di storie alla volta. Su quelle pagine abbiamo letto anche cose interessanti: i fumetti di Rita Porretto e Silvia Mericone, Nicola Mari (che, benché abbia deciso di normalizzarsi per ragioni che non posso conoscere, è ancora bravissimo), Carlo Ambrosini, Paolo Bacilieri (anche co-copertinista), Luca Vanzella, Tito Faraci, Luca Genovese… All’improvviso, in casa editrice qualcuno ha deciso questa mattata. Con il medesimo animo rivoluzionario che aveva condotto alla riscrittura del personaggio, durante una riunione di redazione, qualcuno deve aver detto: «Oh! Figata! Facciamo uscire una nuova testata dedicata a Dylan Dog, la chiamiamo come quella vecchia in cui uscivano due storie alla volta, confermiamo il titolo, “Oldboy”, che chiarisce che ci rivolgiamo ai lettori più anziani, e dentro – state bene attenti, eh! – ci mettiamo una sola storia di quelle che avremmo messo in un volume di quelli con due, scegliendola a caso e accompagnandola con la copertina più loffa che viene a Marco Nizzoli
Poi qualcuno si deve essere girato verso Nizzoli e deve aver rincarato la dose: «Mi raccomando, Marco, che te sei bravo! Falla bella loffa! Ti devi annoiare pure te mentre la disegni!»
Detto. Fatto.
Il nuovo “Dylan Dog Oldboy” è perfettamente riuscito: risponde esattamente alle linee progettuali con le quali è stato ideato.

TRE

Lo so, quando prima ho detto che, nel 1986, di “Dylan Dog” mi interessava che fosse un nuovo personaggio, hai sentito un campanello d’allarme.
«Ma come?», hai pensato, «Questo è tutto preso dal suo snobismo e, adesso, gli piacciono i personaggi?» E poi hai aggiunto, «Non lo sa, ‘sto stronzetto spocchioso, che il vero fumetto è fumetto d’autore?»
Potrei giustificarmi dicendoti che pure io sono stato giovane, ma sarebbe una bugia. Cioè, non starei mentendo quando dico della gioventù perduta (e chi se la ricorda più, quella?). Sarebbe una bugia l’atto stesso del giustificarsi. A me i personaggi piacciono ancora oggi. Mi piace rifugiarmi in spazi narrativi consistenti in cui riesco a trovare conforto. Il mondo in cui vivo è sceneggiato così male!
Se mi aggiro tra le narrazioni, trovo dei veri cattivi, personaggi assolutamente negativi magnifici, con cui battersi è bellissimo: Darth Vader, Voldemort, Hannibal Lecter, Lex Luthor, Galactus… Poi ascolto le notizie e, nel mio mondo, i cattivi peggiori sono Benjamin Netanyahu, Donald Trump, Vladimir Putin, Elon Musk… Fanno schifo e si macchiano di crimini terrificanti, però…
Non scherziamo! Non c’è partita. Mica mi viene voglia di infilarmi nella porcilaia e accendere la spada laser. Li guardo, lancio contro di loro terribili anatemi, dichiaro il mio schifo, e torno alle mie occupazioni più innocue. Per esempio, lo sfoglio dei giornaletti.
A me, i personaggi, in particolar modo quelli dei fumetti, piacciono un sacco. E più sono storicizzati e consolidati, più mi divertono. Per esempio, amo alla follia Topolino, con quel suo copyright infinito e immorale. Mi piace un sacco quando vive avventure tradizionali, quando qualche autore non canonico decide di stravolgerlo, e anche quando viene piratato.
Noi di (Quasi) stiamo lavorando a un volume sull’underground statunitense (se non facciamo una qualche cazzata, dovresti poterlo acquistare entro la fine dell’anno). Muovendoci in quel territorio, ci si imbatte facilmente nelle parodie scorrette – e illegali – del topo: dalle Tijuana bible agli air pirates (se non ne sai niente, devi solo aspettare il nostro volume di prossima uscita).
Qualche tempo fa, Titti mi ha mostrato Super Negra, un volumetto di Winshluss edito da Les Requins Marteaux. Me lo sono subito procurato. È la cosa più underground mai fatta da Winshluss (di cui dovresti conoscere almeno Pinocchio e In God We Trust). Una storia di bestie disneyane nuclearizzate disegnate con un segno così sporco che pare venire dritto dritto dalla fine degli anni Sessanta a San Francisco.
Vuoi leggere un Topolino che non ti aspetti? Cerca Super Negra di Winshluss. Non sconfiggerai i cattivi del mondo reale, ma avrai nuovi strumenti per odiarli.

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(Quasi)