Autobiografia del lettore da cucciolo – 6

Quasi | Memorie e cuccioli |

di Massimo Galletti

(Le puntate precedenti: uno, due, tre, quattro e cinque).

Assenze

Al lettore cucciolo mancano ancora tre libri, tre autori; gli mancano proprio fisicamente nella sua libreria. Cos’è una libreria se non la mappa di una tua idea di mondo? Cos’è la mia libreria con i suoi fumetti senza quei libri, quei tre autori? E senza quelle due storie, in particolare, quelle su cui avrei investito tutto( e l’ho fatto finché e quanto sono riuscito), quelle che cercavo proprio quelle, allora in quel momento storico che è ancora oggi ma inizia allora, quelle che non trovavo da leggere e mi è toccato stamparle, per poterle leggere…, su quegli otto numeri più tre di quella creatura, la chiamerò cosi da oggi, “Schizzo Pantone”.
Dove c’era tanto e ne ho già scritto, ma c’erano fin dall’inizio tre cavalieri e due storie a far da scheletro e cuore…

Il sale e il pepe

Il primo era un cavaliere sghembo. Era già lì. Ci aveva trovato rifugio fuggendo addirittura da “Alter Alter”. Ci tornerà poi, l’attimo di un albo, l’amicizia sempre.
Viveva di nomi falsi, come un avventuriero, un contrabbandiere: Pepé Martinez, Vinzé Quagliozza, le ultime volte che l’ho incontrato si presentava come Ale Pop: ancora avventuriero e contrabbandiere è.

Fuggì presto, nascevano isole più libere e meno compromesse, e sentiva il richiamo. Aveva bisogno di graffiare più liberamente, aveva bisogno di riempire di spigoli esperimenti di riviste intere dai formati più strani.
Aveva un bisogno spropositato e saggio di colori e io non li avevo, anzi finivo per maltrattarglieli in grigi che effettivamente gridano vendetta. Chissà, forse l’ispido e amato Alessandro fuggì anche da me.
Ale Staffa non era scheletro e cuore, ma era il sale e il pepe, era il ghigno e il guizzo.  Era i triangoli e le punte rubati ai Valvoline intellettuali e portati al popolo come fossero fumetti streetart, era il cretino incapace di tacere verità che finiva politico senza scorciatoie.
Ale Staffa fuggì da Schizzo e quello è poco grave.
Di Ale Staffa mi manca invece un libro vero, bello, importante. Più di un albetto, di un esperimento grafico, e di una produzione che continua sterminata e carsica e dispersa in mille rivoli. Manca alla mia libreria, e manca alla mia mappa tangibile di cos’era cos’è il fumetto italiano: manca al fumetto.
Ps, Ale è un po’ che non ti vedo e non ti sento. Come va?

Ale era il sale e pepe perfetto perché era incapace di fumettare avulso dal contesto culturale e politico.
Perché poi questo è il punto principale. Ché io li amavo e rispettavo i segni e le linee e gli esperimenti e le voglie di Francesca e Giuseppe, e di tutti i loro amici “bolognesi”, ma intorno avevo un mondo che iniziava a cambiare e preoccuparmi, e mi pareva proprio che nessuno nel fumetto italiano volesse sporcarcisi le mani.
Forse un po’ solo i primi Toffolo e Mattioli con le orecchie. Forse Zezelj ma sognando in Jugoslavo. Sporcarsi le mani col mondo è tanto, è quasi tutto. Perché sono lì, nel mondo, le storie.
E anche perché abbiamo una responsabilità, tutti, quando possiamo, quando ci capita…

Fiori italiani

Maurizio Ribichini.
Presente quando ti arriva una cosa ed è un colpo al cuore?
Maurizio si presenta con tre quattro storie brevi a colori, fascinosissime, estreme di segno, viste e rifiutate da alcuni editori, originali mai restituiti, inedite tuttora. Tanto per.
Poi arrivano queste sette pagine perfette, che sono un manifesto, a un pensiero, a una linea editoriale, a una sua autorialità permanente, a una voglia di esserci dentro e non tacere. Sua, e nostra, e mia.
Fiori italiani, perfetto anche il titolo. Segno ancora estremo, molto graffiato, a tratti naif, un segno che segnala urgenza. Però dentro una gabbia e uno svolgimento chiaro, piano, con gli avvenimenti tanto raccontati dalla lingua, dai balloon, dal lettering.
Sette pagine. Un immigrato che vende fiori e dice cose. Due fasci che lo menano. Due italiani che lo aiutano. Stop storia. Un’amica diceva “palese”. Di palese in palese siamo arrivati alla Lega di oggi e ai fascisti sdoganati. Purtroppo troppo spesso una storia è palese: ma rimane una storia, e un po’ anche Storia.
Quando ci fece leggere il racconto successivo, Mani in alto, l’incanto divenne la consapevolezza di tenere tra le mani e gestire, si un amico, ma contemporaneamente anche un talento unico e prezioso. Ci costruimmo, intorno a quella storia, un numero speciale, molto politico e tutto a fumetti.
Diciassette pagine che sono un incastro perfetto dietro a un’idea geniale. Ancora oggi tra le migliori storie brevi italiane di sempre.
Arriverà una terza storia, Sono un italiano, a chiudere il cerchio e unire le prime due e i loro protagonisti in un libro possibile, unito, ben raccontato, chiuso in un senso potente e insieme aperto a un futuro.
Quel libro c’è, si chiama Le straordinarie avventure qualsiasi, e lo stampammo come Rasputin qualche anno dopo. C’è anche nella mia libreria.
Non è un libro perfetto. Ribichini pensava le sue storie e i suoi disegni in formato rivista. Noi glielo stampammo nel formato che ora chiamiamo graphic novel, e l’esilità delle poche pagine credo non ne segnali appieno l’importanza: ma c’è. “Quel”, libro, c’è.
Non ci sono, nella mia libreria, nelle vostre, quelli successivi. Due storie con gli stessi protagonisti, albetti quasi introvabili, un mucchietto di racconti brevi pubblicati qua e là, belli, alcuni potentissimi, mai raccolti insieme. E Bimbo Bim.
Scrivo a memoria, non ricordo il titolo esatto, l’ho sempre chiamata così. È una storia strana, finita eppure monca; pensata per una rivista bella dalla vita breve, “Tank Girl”. Se Fiori italiani era nato in storie autosufficienti e aveva finito per ritrovarsi libro, Bimbo Bim nasce graphic novel con uno sviluppo ben definito, i primi quattro numeri della rivista. Ma “Tank Girl” dura tre numeri, e Maurizio ci tiene a finirla con le pagine che può, accetta di comprimerla in meno pagine e si sente: pure rimane un diamante un po’ grezzo e mai esploso ma ancora acceso, mai ristampato, poco letto e poco compreso, segnale e visione preziosa di un possibile ci sarà.
Manca, il libro di Bimbo Bim. Ma se alla mia libreria mancano senz’altro quei due tre libretti di allora di Maurizio Ribichini, al fumetto italiano manca ormai da troppi anni un autore, importante, come fu e potrebbe essere Maurizio Ribichini.
Uno dei pochissimi che allora ha scritto cose del senso di ciò che oggi chiamiamo la miglior graphic novel, coltivando i suoi fiori nel deserto di anni in cui sembravano bestemmie, lasciandoli a futura memoria. E non aver saputo e voluto trovare spazio, nella massa immane di pagine a fumetti pubblicate in questo paese nell’ultimo ventennio, per liberare la voglia e la capacità di vedere a fumetti di Ribichini è una colpa grave.
Di Maurizio Ribichini quello che mi manca davvero, nella mia libreria, è il suo prossimo libro, quello che inevitabilmente sa dirmi cose senza compromessi e dalla parte giusta di questo paese, su questo paese. E che nessuno gli sta offrendo di fare.

(In verità, dopo molti anni, un Ribichini è tornato. Proprio ora, un racconto lungo, su un tema richiesto ma suo. Un libro edito fuori dai comics da un’associazione di prigionieri politici, per ricordare e ancora seminare. E, lo dico con l’anima, è bellissimo ritrovare quei corpi disegnati di ragazzi italiani che si muovono e corrono in quel modo così bello, così suo).

Quattro elementi

Maurizio Ribichini e Stefano Fabbri, così diversi, di passo e geografia, avevano (e sicuramente hanno ancora) una cosa molto bella in comune, di quelle che contano e poi stanno inevitabilmente anche nelle opere che fanno. Sono persone gradevolissime da frequentare, sono davvero belle persone.

Non sento davvero e non so nulla di Stefano dalla fine di quell’esperienza. Ho cercato in rete. Ho trovato una carriera solida di illustratore, e un segno professionale e giustamente lontano anni luce dalle suggestioni di allora.
Stefano Fabbri incideva a quei tempi eleganti figure in neri carichi, cercando costruzioni di equilibri in forma di storie a fumetti classicissime.
Le prime storie, di segno, erano buone ma tradivano ingenuità. Le ultime lavoravano con linee ormai fluide e potenti, si preparavano a volare.
Pubblicammo molte storie, Stefano sapeva scrivere e non temeva la sua fantasia, uomini a vapore, marinai e balene compagni di bar… Aveva un segno tanto appariscente, eppure la sua dote più grande era tutta a fumetti, era un maestro del rendere credibile l’incredibile, proponeva soluzioni narrative realisticamente assurde ma che nella magia della pagina a risultavano credibilissime, anzi perfette, perché nei fumetti la poesia sa vincere.
La famosa “sospensione dell’incredulità”.

Ma Stefano Fabbri per me è soprattutto una storia, che sono poi gli ultimi due libri che non esistono nella mia biblioteca. Uno di cui esistono i quattro racconti sparsi in quegli otto numeri di Schizzo Pantone, purtroppo mai riuniti insieme.
Acqua, Terra. Fuoco, Aria.
I primi due già pronti quando ci conoscemmo, e dal segno più incerto. I secondi due costruiti allora, semiperfetti.
Quattro protagonisti che riescono a fuggire a un potere oppressivo che li vuole eliminare attraverso un’alleanza magica coi quattro elementi fondamentali del mondo naturale.
Una ribellione pacata ma efficace, uomini e donne pronti ad essere simboli e combattenti.
Il secondo libro non è mai stato scritto e disegnato. Mi raccontò Fabbri quando ci conoscemmo che in una seconda serie di quattro racconti quei quattro uomini e donne rocambolescamente dalla natura stessa messi in salvo, si sarebbero incontrati e avrebbero lottato insieme. Se il lettore cucciolo fattosi costruttore di rivista per poterle leggere, quelle storie che non trovava, è felice ancora oggi, tanti anni dopo, di essere riuscito a portare a conclusione il primo ciclo di fughe e salvataggi, e di averlo potuto leggere, questo piccolo capolavoro obliato, così altrettanto il lettore cucciolo ex costruttore soffre ancora oggi, tanti anni dopo, a non averli visti insieme, quei quattro eroi involontari, a non averne vissuto e partecipato la lotta, a non averne letto mai la fine.

Senza fine

Certe storie ti spossano, frequentare gli ambienti toglie pezzi di ingenuità, costruire ci vuole un fisico bestiale che non ho mai avuto, e per quanto noi lettori di fumetti si sia un po’ eterni bambini, ammettiamolo, il lettore non è più cucciolo. E i prossimi saranno amori adulti.

Ma io lo so, ci credo, che in quel faro, su quell’isoletta su cui prima o poi prendo il coraggio e vado, ci sono, li trovo.
Anche il libro di sgorbi gettati da Ale Staffa.
Anche il libro ancora tutto nella testa di Ribichini.
Anche il libro col finale mai disegnato di Stefano Fabbri.

(fine?)

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(Quasi)