LATO A

#1

Giancarlo Soldi è un tipo simpatico. L’ho incontrato un sacco di volte e mai che mi sia capitato di trovarlo di cattivo umore: un sorriso larghissimo che mostra una dentatura invidiabile, un entusiasmo coinvolgente, e una valanga di gentilezze e di racconti sui suoi ultimi progetti. La prima volta che ho incontrato il suo nome, era il 1992. Vicino casa c’era un piccolo cinema con tre sale e una programmazione curatissima. Ci andavo spesso. Una sera invernale, in una delle due sale più grandi (la terza ospitava a stento una quarantina di persone e ci andavo a vedere solo film d’animazione onestamente improbabili) hanno dato il suo Nero. Non l’ho più rivisto, ma mi ricordo che mi era piaciuto, che Hugo Pratt vestiva i panni del commissario Straniero, che – a intervalli ricorrenti – entravano alcune strofe di una canzona di Francesco Guccini che non conoscevo, Acqua (che poi sarebbe finita in Parnassius Guccinii, che, dopo la bellezza del disco Signora Bovary, sarebbe stato per me una vera delusione), e che c’era una canzone di un gruppo piemontese che mi faceva ballare. [PI]

#2

«Se non fosse stato sabato, non l’avrei fatto tutto questo disastro». Adesso li chiamiamo romanzi noir, neri. Ma, per un sacco di tempo, i milanesi, quei libri lì, li hanno comprati da Tecla Dozio, in un posto che si chiamava “Libreria del giallo”. Tecla era un’istituzione. Tu entravi nelle due stanze del suo negozio e lei ti guidava. Io rimanevo lì dentro un sacco di tempo a scegliere i miei libri e ad ascoltare i consigli che elargiva ai clienti, mentre fumava e sorseggiava tè. E stata lei che a un certo punto, scandalizzata, mi ha chiesto, con la sua voce di cartavetro: «Ma come? Non hai mai letto Scerbanenco?». E interpretando il mio sguardo spaventato come un evidente «No…», mi ha messo in mano Venere privata. Ho completato la lettura del ciclo di Duca Lamberti in pochi giorni. Il quarto e ultimo romanzo che Giorgio Scerbanenco gli ha dedicato prima di morire è I milanesi ammazzano il sabato. C’è anche questa canzone degli Afterhours in cui si sentono le sonorità dei La Crus di Cesare Malfatti. C’entra poco con Scerbanenco, ma mi piace. [PI]

#3

Ho un brutto rapporto con Fabrizio De Andrè. L’ho ascoltato, fino a mandare a memoria tutte le sue canzoni, durante l’adolescenza. L’ho amato. Poi mi è diventato progressivamente insopportabile. Adesso, non appena sento l’inizio di una sua canzone, avverto il bisogno di lasciare la stanza. Mentre il mio disagio nei suoi confronti cresceva, la sua beatificazione mi ha trasformato in un imbecille blasfemo che non è capace di riconoscere arte e poesia. A un certo punto, anni fa, ho scoperto che la versione originale della Canzone del maggio è di Dominique Grange, moglie di Jacques Tardi (il fumettista che associo con più facilità all’idea di “Romanzo nero”) e ho trovato questo video. Ecco: questa versione riesco ancora ad ascoltarla. [PI]

#4

Se c’è qualcuno che, durante i lunghi viaggi in macchina con mio padre nei quali era l’unica potabile alternativa a Demi Russous, mi ha introdotto ai temi neri che poi avrei riscoperto e amato nei miei autori francesi. Quello è stato sicuramente Fred Buscaglione. Gli voglio ancora un sacco di bene. [BB]

#5

Fredric Dard è una specie di Luis-Ferdinand Celine della classe media. Uno degli scrittori – alle volte impiegatizio come i suoi lettori – più prolifici di sempre, più di 300 noir, la cui maggior parte dedicati a San- Antonio. La spalla di Sanà, il gigante Berurier, poliziotto violento, ignorante e cazzuto (nel senso di dotato di cazzo enorme), è uno dei personaggi più esilaranti e veri che la narrativa di genere abbia mai partorito. All’inizio degli anni ’80, tre amici, appassionati di Sanà, Loran, Guillem e Dèdè, mettono insieme un gruppo punk, i Berurier Noir, in cui dichiarano tutto il loro amore per il genere con le copertine nere. Il primo album, Macadam Massacre, con la title track che è un grido nero contro la violenza degli sbirri, mi spacca subito il cuore. [BB]

#6

Se esistesse un dio della musica da ballo, ci sarebbe da ringraziarlo, per averci dato gli Art of Noise. Come hanno decostruito loro il mito dell’investigatore privato, facendoci pure ballare, nessun altro. [BB]

#7

Fa esattamente quell’effetto lì, il clima pulpoliziottesco che immagini quando la notte in Bovisa… boh, non ricordo più, è passato troppo tempo. Ho memoria di sguardi gettati mentre guidavo, dal ponte della Ghisolfa, la sera, verso sinistra, in mezzo a quel po’ di nebbia che ancora c’era poco più di un decennio fa. Chissà le cose misteriose che accadevano in Bovisa! [LC]

#8

Il canto del cigno del criminale finalmente catturato, la predestinazione del reietto fin dalle parole della maestra di scuola («Una delle creature più sciagurate del buon Dio»), una ballad quasi da musical. Lay Me Low non ti spiega la carriera criminale né espone un programma ma ti racconta che vai nel genere “nero” ogni volta che sfidi le convenzioni della società e del benpensare. E finisce puntualmente male, ma chissenefrega. [LC]

#9

A Peter Steele il pezzo era venuto in mente, si racconta, mentre aspettava di scaricare il suo camion dei rifiuti in un periodo che non doveva essere un granché, complicato, presumibilmente, da un tizia goth che non gli si toglieva dalla mente. Un pezzo (e un video) molto espressionista, pure buffo, con Steele che imbraccia (!) un contrabbasso come fosse un basso elettrico, con tanto di tracolla. Diciamo che lo notavi, al contrario di quel che sappiamo accadere coi bassisti – era due metri e zero tre, con una ghigna patibolare e un curriculum tragico di droga, alcool, tentati suicidi e morti inscenate. Poi morte vera nel 2010. Nero in abbondanza. [LC]

LATO B

#10

Nel 1964 viene pubblicato La Milano di Enzo Jannacci, a oggi uno dei dischi più belli della canzone italiana. Nella presentazione interna al disco c’è una nota di Luciano Bianciardi, dove Enzo Jannacci viene descritto come «un Pierrot lunaire», perché in quel periodo, come si nota nella sua apparizione ne La vita agra di Carlo Lizzani, suonava la chitarra tenendola sotto al mento, come fosse il collarone della maschera. Non so se quella di Pierrot sia la descrizione migliore per lui, anzi credo proprio di no. Jannacci è lunare certo, è romantico, ma è soprattutto dolente oltre che incazzato. Ed è così perché racconta i poveracci ingoiati nel buio della metropoli e della modernità, cose ben poco romantiche, cose disperate e disperanti che fanno scoppiare il cuore. Se d’amore o di rabbia, deciderà chi ascolta. [FP]

#11

Sempre nel ’64 esce appunto anche La vita agra, il film ispirato al romanzo di Bianciardi (a oggi uno dei più bei film italiani). Oltre al cameo di Jannacci che in osteria canta L’ ombrello di mio fratello e Ti te se no, in una scena, a fianco del protagonista Ugo Tognazzi, compare Bianciardi stesso, a cui questa canzone dei Baustelle è dedicata. Il video, girato appunto a Milano, omaggia i noir della nouvelle vague ma soprattutto riporta in scena Luciano Luthring, il solista del mitra. [FP]

#12

È quindi Porta romana, la canzone del carcere. La prima volta che l’ho sentita dev’essere stato in quel famoso video girato all’osteria da Vito a Bologna, dove Roberto Vecchioni, Guccini e Lucio Dalla la cantano sguiatamente, ciucchi marci. O meglio: Vecchioni è sguaiato, con la camicia aperta, il ciuffo sudato sulla fronte e chiama le strofe berciando, nel tentativo fallimentare di coordinare il terzetto, Dalla invece ulula e picchia i bicchieri col cucchiaino mentre Guccini, probabilmente il più gonfio di tutti, mantiene un aplomb impeccabile. Non c’era youtube all’epoca per cui mi tocca ringraziare Vincenzo Mollica e la sua serie Einaudi di videocassette+libretto dedicata ai cantautori, per questa perla. Ma la versione di Porta Romana che propongo qui è invece quella di Nanni Svampa,  autoctona e, a quanto ne so, quella col maggior numero di strofe. Anche se manca sempre quella della «Banda del Barbieri era attrezzata, faceva le rapine a mano armata», che dà un senso al seguito che invece compare spesso: «e sette e sette e sette fanno ventuno, arriva la volante e non c’é nessuno». A quanto pare la macchina della banda di Ezio Barbieri, quella con cui fingeva posti di blocco a scopo di rapina, era targata 777, il numero del centralino della polizia di Milano. [FP]

#13

La storia della canzone è un classico del noir, lei Ornella Corti a fare il palo mente lui con un altro svaligiano una banca, la notte, il freddo, la tisi. Chi morirà alla fine?
Alessandra Falca, Il Colpo,  dallo spettacolo di teatro-canzone Maggy Mistake- Storie di porti Storie di Morti (2000). [AF]

#14

A volte mi capita di collegare certe canzoni a sequenze di film che mi hanno colpito indelebilmente. Un pezzo come I Put A Spell On You acquista una nuova carica nella versione di Marilyn Manson, che collego ormai indissolubilmente a Strade perdute e dove la sua furia, energia e sensualità. hanno la possibilità di esprimersi completamente. Riascoltata & rivista recentemente in Lovecraft Country, si comprende che anche per le canzoni l’aspetto visivo può essere fondamentale: all’interno di quel telefilm, pur mantenendo il carattere ipnotico, non riesce a eguagliare la potenza che veniva scatenata nel film di David Lynch. [OM]

#15

Sempre Lynch, sempre atmosfere nere… altra canzone che ormai non posso non legare a un film è In dreams. Il movimento languido si adatta perfettamente alle due scene in cui appare in Velluto blu e, come nella canzone di Marilyn Manson, acquista una carica perversa che non era presente originariamente… o forse c’era ma era nascosta molto bene e ci voleva il genio di David Lynch e la follia di Dennis Hopper per liberarla dalla sua apparente classicità. [OM]

#16

È sicuramente un romanzo nero la storia infinita delle violenze, dei linciaggi, dei proiettili a caso che comincia a trovare un posto anche nella cultura pop delle serie tv: il mondo terrificante in cui la vita e la dignità delle persone di colore, quelle con la B di Black sui documenti, non contava nulla, è lo stesso di cui amo musica, letteratura, pittura, fumetti. I maledetti Stati Uniti d’America. [AS]

#17

Ta-dan! Senza timore di essere bollata come amante del Liga, ecco qui una minuscola e perfetta storia noir. Lui crede di essere il predatore, ma poi si trova legato a pregarla di mettere giù la pistola. Il primo Ligabue, non ancora santificato, in un pezzo delizioso, ironico e da me molto amato. [AS]

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