Uccidere un principio

Paolo Interdonato | Il fumetto di Babele |

Una manifestazione anarchica, a New York nel 1895, rende evidente ai sensi di Thomas Bailey Aldrich quell’invasione strisciante che mina alla base i valori americani. Quegli «accenti minacciosi ai nostri orecchi», «in fuga dalla povertà e dal disprezzo patiti nel Vecchio Mondo» lo assillano e gli negano il sonno. Vuole che i suoi concittadini capiscano  che lasciare i cancelli privi di controllo, unguarded gates, indebolisce l’America, rendendola vulnerabile ad attacchi esterni di ogni sorta. Di esempi a sostegno delle sue tesi, Aldrich potrebbe trovarne a bizzeffe, se solo sapesse dove cercarli.

Per esempio, al di là del fiume Hudson, a una trentina di chilometri da New York, un paio d’anni dopo la manifestazione che gli ha aperto gli occhi, è arrivato dall’Italia un bel damerino. Si chiama Gaetano Bresci ed è un tipo piacente, con un buon eloquio. Non si fa scrupolo alcuno di sedurre tutte le fanciulle che gli capitano a tiro e di seminare figli nel mondo, perché tanto è del mondo che sono figli i figli. Si dice che sia fuggito dalla natia Toscana e da una certa Maria che ha ingravidato. Ora a Paterson, New Jersey, Bresci ha trovato lavoro come operaio tessile, si professa anarchico ed è venuto in contatto con una comunità di emigrati italiani che condivide i suoi ideali. Ha aderito a un movimento che si chiama “Diritto all’Esistenza”, quasi a voler rimarcare che negli Stati Uniti si può essere anarchici, mentre nella natia Italia questa possibilità è negata dallo stato e dal re.

Quando all’interno dell’attivissimo circolo arriva la notizia ferale dei moti di Milano, il giovane è sconvolto. Pare che l’aumento del prezzo del pane abbia scatenato le folle e colmato le piazze della città di rivolta e protesta. I manifestanti si sono assembrati soprattutto nell’area sud, tra Porta Ticinese e Porta Genova, decisi a non andarsene. Il generale Fiorenzo Bava Beccaris, investito dei poteri speciali dal re Umberto I in persona, è un uomo risoluto: non mostra indecisione quando ordina di puntare i cannoni contro la folla. Il primo colpo è a salve; i successivi nove sono caricati a raffica. I risultati di quell’atto disumano sono mostruosi: una strage. Alla fine dei quattro giorni di protesta, tra il 6 e il 9 maggio del 1898, si fanno i conti: 125 morti, 502 feriti, quasi tremila arresti cui il Tribunale di guerra di Milano commina pene pari 1.390 anni di reclusione, 90 anni di detenzione, 307 anni di sorveglianza.

Gaetano Bresci, già sconvolto dalla notizia, si trova costretto ad appurare la connivenza di Umberto I che, da quel momento, viene soprannominato “re mitraglia”: meno di un mese dopo le cannonate, il re ha premiato il generale stragista conferendogli la Croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia. Il tessitore anarchico prende allora una grave decisione: con in tasca una rivoltella “Massachusetts”, calibro 9 a cinque colpi, sale sul vaporetto “Gascogne”, diretto verso la Francia. Da lì si sposta a Prato e poi risale verso Milano. Il 29 luglio 1900, re Umberto I assiste a Monza alla competizione ginnica interprovinciale organizzata dalla società atletica “Forti e Liberi”. Quel giorno il termometro ha toccato i 37 gradi e re mitraglia è vestito in abito civile, con redingote nero e cappello a cilindro. Dato il caldo eccessivo, benché le sue guardie glielo consigliassero, si è rifiutato di indossare la cotta di maglia che porta sempre da quando è scampato alle lame non troppo affilate di un paio di attentati. Una pessima decisione: Gaetano Bresci gli si avvicina, punta la sua arma tra le teste delle guardie del corpo e uccide il re esplodendo con precisione tre colpi di pistola.

Dichiarerà: «Non ho ucciso Umberto, ho ucciso un re, ho ucciso un principio.»

Il giorno dopo, Il “Corriere della Sera”, listato a lutto, titolerà con semplicità e precisione: «Re Umberto assassinato a Monza».

Note

Il mio migliore amico, Boris Battaglia, si professa anarchico. Mi sarei sentito un irresponsabile se, dopo infinite serate di discussioni massimaliste finite con colossali sbronze, non avessi approfittato delle sue letture. Per la vita di Gaetano Bresci ho usato Ho ucciso il re: Storia di Gaetano Bresci di Maurizio Centi (Ortica editore, Anzio-Lavinio RM, 2019), Gaetano Bresci: La vita, l’attentato, il processo e la morte del regicida anarchico di Giuseppe Galzerano (Galzerano Editore, Casalvelino Scalo SA, 1988) e numerosi articoli provenienti da “A: rivista anarchica”, tutti disponibili in rete all’indirizzo www.arivista.org. Boris mi ha inoltre consigliato Gaetano Bresci, tessitore, anarchico e uccisore di re di Massimo Ortalli (Nova Delphi, Roma, 2011), che non ho letto per pigrizia, e mi ha sconsigliato L’anarchico che venne dall’America di Arrigo Petacco (Mondadori, Milano, 1974), cui invece ho dato un’occhiata svogliata.

Benché i libri suggeriti dal mio amico respingano con vigore l’ipotesi del complotto, sottolineando la libera decisione dell’anarchico Bresci, continuo a trovare convincente  il riassunto di quegli eventi contenuto in La misteriosa fiamma della regina Loana di Umberto Eco (Bompiani, Milano, 2004):

«Mi raccontava di Gaetano Bresci, che per punire il re Umberto, che aveva fatto massacrare gli operai a Milano, era partito dall’America, dove poteva vivere tranquillo, dopo che lo avevano tirato a sorte, senza biglietto di ritorno, ed era andato ad ammazzare il re. Poi avevano ammazzato lui in prigione e avevano detto che si era impiccato per il rimorso. Ma un anarchico non ha mai rimorso per le azioni che fa in nome del popolo. Mi raccontava di anarchici mitissimi che dovevano emigrare di paese in paese, perseguitati da tutte le polizie, e cantavamo Addio Lugano Bella.»

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)