La memoria del Gaijin

Quasi | Memorie e cuccioli |

di Onofrio Catacchio

Luigi Bernardi lo incontro per la prima volta nell’88 a Bologna durante la biennale del Mediterraneo. Nella sezione Fumetto espongo quattro tavole di Stella Rossa, Bernardi sta curiosando tra gli originali esposti nella sala, gli vado incontro e con aria guascona gli faccio: «tu sei Bernardi, quello di “Orient Express”!». Dietro la Marlboro mi studia muto, che io sia uno di quelli che ha fatto incazzare con le sue recensioni?
Mi presento: un mese prima, appena giunto in città l’ho chiamato per chiedergli se ci fosse ancora posto per me nella mostra sul giallo illustrato – Ombre credo si intitolasse – che stava curando con Francesca Ghermandi e Stefano Ricci. I migliori personaggi del genere erano già opzionati dagli altri autori, io però volevo provarci col Petrosino (tutto si tiene) di Secondo Signoroni. Bernardi fa due tiri alla sigaretta, focalizza e io lo ragguaglio: sono appena arrivato a Bologna e voglio fare i fumetti, lui ha l’aria di uno che quel discorso l’ha già sentito un sacco di volte. Si accende un’altra Marlboro e ci salutiamo.

Lo ritrovo qualche tempo dopo nella redazione di “Dolce Vita”, sul mensile, oltre a nomi prestigiosi – Magnus, Muñoz, Mattotti – ci sono giovani autori che pubblicano in dose omeopatica e in formato striscia. La redazione dista pochi isolati dalla mia soffitta nel Pratello e spesso ci vado per portare gli originali di Stella Rossa. Luigi ha preso posto alla scrivania da redattore da pochi giorni, è l’ultimo arrivato, sta un po’ in disparte e scruta le mie tavole a distanza. Tra pochi mesi “Dolce Vita” chiuderà i battenti e finiremo entrambi a spasso.

Sono sceso a fare due passi, al termine del portico piazza Malpighi è invasa dalle api, sono migliaia e sciamano in cerca della regina. Resto a guardare affascinato, non ho mai visto niente del genere. Col naso puntato verso l’alto non li vedo avvicinarsi. Luigi Bernardi e Roberto Ghiddi mi affiancano, non hanno tempo per le api, sono diretti alla futura redazione della casa editrice che stanno per varare. Mi chiedono se ho voglia di accompagnarli tanto si trova a due passi da lì, in via Marconi. Nell’androne del n.ro 3 ci sono delle scaffalature metalliche da portare su, nell’ascensore non ci stanno e il posto è al terzo piano.  Li aiuto e, da facchino, varco per la prima volta la soglia di Granata Press. Quattro stanze vuote, un piccolo Mac e qualche sedia. Ah, adesso ci sono gli scaffali da montare e riempire con libri e riviste.

Delle quattro stanze quella di Bernardi è l’ultima a sinistra in fondo al corridoio. Passo spesso in redazione, oggi sono venuto per firmare il mio primo contratto. Luigi mi spiega come funzionano e cosa significano tutte le voci una per una. Sto per firmare quando mi stoppa: «firma prima l’editore, poi l’autore». A suggello mi stacca un assegno, il primo che vedo. Non so che farmene, però, gli spiego che lì a Bologna non ho un conto su cui versarlo. Si alza, indossa il cappotto e mi dice di seguirlo. Facciamo una corsa di sotto – manca poco alla chiusura – entriamo in banca e quando usciamo ho un conto corrente. Ora si tratta solo di terminare la storia di Stella Rossa che ho proposto a Luigi.

Granata Press ha mollato gli ormeggi. I manga e il fumetto “adulto” sono le direttrici lungo le quali vuole muoversi la casa editrice e ben presto se ne aggiungeranno altre per raccoglierle e testarle Bernardi decide di realizzare una rivista che raccolga i fumetti più rappresentativi, gli autori vecchi e nuovi attratti dal suo nuovo progetto e proponga testi e redazionali che gettino uno sguardo attento alla contemporaneità in cui è immersa la casa editrice. Ci convoca tutti un pomeriggio, scrittori, fumettieri e redattori. L’idea è di mettere assieme i materiali e le idee. A un certo punto salta fuori la questione del nome: come dovrà chiamarsi l’ennesimo parto cartaceo di Bernardi? Propongo “Nova Express”, un nome che riprende il percorso di “Orient Express”, cita William Burroughs e pure la rivista che fa capolino nel Watchmen di Alan Moore. Bernardi si accende una Marlboro interlocutoria. Qualche mese dopo il primo numero della rivista si affaccia in edicola.

Il viaggio di Granata Press durerà una manciata di anni, giusto il tempo di dare origine all’invasione dei manga in Italia, lanciare qualche nuovo autore di fumetti, scoprire una nuova leva di scrittori noir che presto si libereranno dell’etichetta del genere. Tutti percorsi che in buona parte hanno avuto inizio, o una svolta radicale, proprio nelle stanze della redazione di via Marconi.

Passa qualche anno, dopo Granata Luigi si è dedicato alla narrativa, ha creato collane, riscritto da editor libri destinati al successo scoperto e lanciato scrittori di talento, quel talento che lui è così bravo a fiutare.

Lo ritrovo alla presentazione di un libro a Bologna, da Feltrinelli, è seduto dietro di me, non ci vediamo da tempo e lui mi allunga una pubblicazione che parla di Granata Press, un testo che ha scritto con Lucia Babina e che ripercorre gli anni della casa editrice. Ha mollato Einaudi e adesso fa il battitore libero e anch’io ho un sacco di tempo libero perché nel frattempo alla Bonelli, con cui avevo iniziato a collaborare, hanno scoperto che i miei disegni sono troppo strani per i loro lettori. Insomma, come dopo Dolce Vita, siamo sostanzialmente entrambi a spasso.

Bernardi scrive, saggi, romanzi e racconti. Scrive e fa calcoli. I racconti di Gaijin! stanno in un preciso numero di battute. Tutti. Me li fa leggere. Gli piacerebbe farne un libro con delle immagini. Ne scrive trenta e io li illustro. Gaijin! Ci piace, ne prepariamo delle pagine autoconclusive a fumetti, su “XL” il mensile di Repubblica ce ne pubblicano un paio ma la cosa non va avanti. Nel frattempo Luigi ha scritto per il Gaijin! uno spettacolo teatrale, a me toccano i disegni da usare per le scenografie. Il 22 marzo del 2006, al teatro Orione di Palermo il Gaijin! va in scena. Al termine dello spettacolo Bernardi mi sibila all’orecchio «Li senti? Altro che i fumetti.», siamo appena saliti sul palcoscenico a prenderci gli applausi del pubblico assieme agli attori della Compagnia del Tratto che lo ha portato in scena. Il Gaijin! in volume esce poco dopo per la Black Velvet di Omar Martini.

Abbiamo preso l’abitudine di scriverci quasi ogni mattina, molto presto, pianifichiamo, facciamo progetti, inventiamo cose. Le nostre vite sono complicate e acrobatiche ma in cima a tutto ci sono idee da realizzare che partono bislacche ma si concretizzano o almeno noi ci proviamo. Ci vediamo una volta alla settimana, di solito al mercoledì sera, Luigi e Patrick Fogli, che scrive e lo fa bene, vengono a prendermi con la macchina di Patrick che è l’unico fra noi a guidare e dirigiamo verso Tato e Vino, un posto alla buona dove si cena bene e si può chiacchierare fino a tardi senza essere disturbati.
Non so a chi è venuta per primo l’idea, ricordo solo che è stato durante una di quelle cene e in tutte quelle che sono venute dopo che è nata la Gabbia. A noi tre si unisce Nicola Bonazzi, un amico di Patrick che lavora in teatro. Scriviamo tra una cena e l’altra il plot, i profili dei personaggi e il pitch delle puntate.  Portiamo la Gabbia da Pier Luigi Celli che ha diretto la Rai e poi rimbalziamo da Bibi Ballandi, produttore tv interessato alle serie ma, evidentemente, non alla nostra. Alla fine riusciamo a piazzare il progetto a Magnolia. Fino a poco tempo fa era ostentato sul loro sito tra i progetti da realizzare. Ci fossero state Sky o Netflix al tempo le cose sarebbero andate diversamente.

Quando mi chiama Marco Schiavone, della BD ha in mente di realizzare un’antologia a fumetti per omaggiare Fantômas, l’eroe nero di Souvestre e Allain. Nuove avventure cucite addosso al personaggio da scrittori e fumettisti. Marco vuole che io partecipi e che coinvolga Bernardi per la sceneggiatura. Coinvolgo Luigi, gli racconto cosa vogliono fare per l’antologia, la rivisitazione “storica” del criminale. Lui se ne fotte e tira fuori un’idea geniale. Sceneggio e disegno il suo racconto. Il nostro Fantômas straccia tutti gli altri. Ha del potenziale, è un buon inizio e decidiamo di portarlo avanti. Lo scambio di mail mattutino si infittisce. Ci rimpalliamo le idee: «Ok, allora se il Vaticano lo facciamo saltare per aria allora la Mecca la seppelliamo con un bombardamento.» «Mi sembra giusto». Ci lavoriamo per quattro anni come due pazzi, correndo davanti agli eventi che la cronaca ci metteva di traverso e che rischiavano di farci saltare l’impianto della storia: «Se quelli ci accoppano il Papa come hanno minacciato siamo fottuti, tocca cambiare tutto…»

Con Fantômas o Fantomax come abbiamo dovuto ribattezzarlo Bernardi torna al fumetto, ma in modo diverso, stavolta guida a briglia sciolta la macchina della narrazione, con una scioltezza che nella scrittura non gli ho ancora visto consentirsi. E ci ha preso gusto: per Grazia Lobaccaro scrive Carriera criminale di Clelia C. per Caracuzzo progetta un inseguimento rocambolesco lungo tutta la penisola di cui ho avuto la fortuna di leggere il soggetto e che purtroppo non vedremo mai.

Quando gli dico che Marcheselli mi ha preso un racconto per la collana “Le Storie” della Bonelli rilancia: «digli che gliene facciamo una sull’assedio di Stalingrado».

L’ultima volta che l’ho visto era nella sua stanza, seduto in un angolo, davanti a lui, al centro del pavimento una catasta di volumi e cartonati a fumetti, quasi tutti francesi. Li acquistava online e li ammucchiava lì, forse aveva ripreso interesse, qualora l’avesse perso, per il fumetto; in ogni caso sapeva che non avrebbe avuto il tempo di leggerli tutti.

L’ho rivisto ancora in seguito, ma non in quella stanza, non nella sua casa. Ora so che Bernardi aveva già preso posto nella carrozza di testa che ha descritto negli ultimi capitoli de L’Intruso, il suo ultimo libro, uscito postumo nel 2018. A bordo del suo treno stava già viaggiando verso la Tempesta.

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